Il 3 luglio 1988, la USS Vincennes della Marina statunitense abbatté un aereo di linea civile Iran Air 655 con 290 passeggeri sopra il Golfo Persico, in un atto di sfacciata tracotanza militare. La giustificazione della Marina, secondo cui si sarebbe trattato di un "errore involontario", smentisce una dura realtà: non si è trattato di un errore, ma piuttosto di un esempio simbolico dell'indifferenza occidentale nei confronti delle vite di coloro che sono considerati sacrificabili.
La Marina ha scambiato un volo commerciale per un caccia nemico, ha sparato due missili terra-aria e ha ucciso tutte le persone a bordo. La risposta degli Stati Uniti, tuttavia, non è stata quella di riconoscere l'errore morale, ma di raddoppiare le distanze e di non offrire scuse o risarcimenti alle famiglie delle vittime. Questa tragedia ha ricordato la pratica di lunga data dell'Occidente di disumanizzare i popoli dell'Asia occidentale nella sua incessante ricerca di dominio geopolitico. Per il popolo iraniano, non si è trattato solo di un errore militare, ma di un grossolano rifiuto della propria umanità che ha rafforzato la convinzione profondamente radicata nei circoli occidentali che le vite dei popoli al di fuori dei propri confini siano, nella migliore delle ipotesi, danni collaterali nella ricerca del potere.
Il riverbero di questa tragedia persiste ancora oggi, aggravato dalle relazioni instabili tra Stati Uniti e Iran. Pochi giorni dopo la rielezione di Donald Trump, il governo statunitense ha affermato di aver scoperto un complotto iraniano per assassinare il Presidente. L'Iran ha respinto con forza queste accuse, con il ministro degli Esteri Abbas Araqchi che le ha liquidate come "commedie di terz'ordine" e ha accusato gli Stati Uniti di aver inventato una storia per giustificare ulteriori aggressioni. La provocazione di Araqchi - che si è fatto beffe dell'assurdità di un assassino "seduto in Iran a parlare online con l'FBI" - ha riacceso la profonda sfiducia che caratterizza le relazioni tra Stati Uniti e Iran.
Ora che Trump ha ottenuto un secondo mandato e diventerà il 47° presidente degli Stati Uniti, è chiaro che la sua politica estera, soprattutto nei confronti dell'Iran, potrebbe essere molto più aggressiva, con conseguenze disastrose. Le nomine previste di figure di falchi - come Pete Hegseth come segretario alla Difesa, Steven C. Witkoff come inviato speciale per gli affari dell'Asia occidentale e Mike Huckabee come ambasciatore in Israele - suggeriscono che la pace in Asia occidentale è più lontana che mai. Queste scelte riflettono un crescente allineamento con gli interessi di Israele, aumentando ulteriormente le tensioni e ponendo le basi per un conflitto catastrofico - un conflitto che potrebbe portare alla guerra contro l'Iran come culmine finale di decenni di intervento occidentale.
Questa catastrofe incombente non può essere separata dall'eredità storica dell'intervento occidentale in Asia occidentale. Le relazioni dell'Iran con l'Occidente sono state modellate da secoli di tradimenti e manipolazioni. Il momento cruciale di questa storia turbolenta è stato il colpo di Stato del 1953, sostenuto dalla CIA, che ha rovesciato il primo ministro iraniano Mohammad Mossadegh, eletto democraticamente, dopo aver cercato di nazionalizzare l'industria petrolifera del Paese. Questo atto, orchestrato dalle potenze occidentali, ripristinò il brutale regime dello scià e gettò i semi per la rivoluzione islamica del 1979. Questa storia di interventi, guidati dal petrolio e dalla geopolitica, ha instillato nel popolo iraniano un profondo senso di tradimento che ancora oggi definisce la politica estera iraniana.
I vicini dell'Iran, divisi lungo linee settarie e spesso opportunisti nella loro politica estera, hanno ripetutamente fallito nel dare priorità all'unità regionale rispetto alle pressioni esterne. Ma le manipolazioni geopolitiche che hanno segnato la storia della regione fanno parte di un disegno più ampio: l'Occidente si rifiuta di riconoscere la sovranità di nazioni che considera strategicamente poco importanti. Il popolo iraniano è sempre più risoluto nel rifiutare di capitolare alle richieste esterne. Questo isolamento, nato per necessità, si è trasformato in una profonda lotta esistenziale.
In risposta, l'Iran sta cercando alleanze con Paesi come la Cina e la Russia e sta stringendo rapporti con attori non statali nella regione. Queste alleanze, nate non per ideologia ma per necessità pragmatica, hanno permesso all'Iran di esercitare un'influenza regionale e di cambiare l'equilibrio di potere in un modo che l'Occidente non aveva mai previsto. Nel suo primo mandato, Trump ha utilizzato una duplice strategia per indebolire l'Iran: in primo luogo, ha alleato altri Paesi arabi a favore di Israele attraverso gli Accordi abramitici, un trattato architettato dal genero ebreo Jared Kushner; in secondo luogo, ha preso di mira le figure chiave che hanno permesso l'influenza iraniana nella regione, finanziando al contempo gli sforzi degli iraniani residenti all'estero che lavorano contro l'Iran.
Nel suo secondo mandato, che potrebbe essere più raffinato e curato grazie all'esperienza maturata negli ultimi otto anni - sia in ufficio che fuori dalla Casa Bianca - le sue azioni potrebbero essere molto più imprevedibili. La possibilità di una guerra contro l'Iran non è più un timore lontano, ma una realtà che si avvicina rapidamente. Confermerebbe l'opinione dell'Occidente secondo cui le vite degli iraniani, come quelle delle popolazioni di tutto il Sud globale, sono sacrificabili nell'interesse del dominio geopolitico, rendendo questa guerra una guerra di scelta, non di necessità, con una posta in gioco esistenziale per l'Iran.
In questo contesto, la responsabilità di prevenire la guerra non è solo degli Stati Uniti o dell'Iran, ma di tutte le nazioni della regione, compreso il mondo arabo.
Nonostante le differenze di credo, storia e alleanze, spetta alle nazioni arabe prendere una posizione unita contro lo spettro della guerra. Le voci dei leader arabi, in particolare di quelli che sono stati a lungo coinvolti nel fuoco geopolitico del conflitto tra Stati Uniti e Iran, devono levarsi in difesa della pace e della stabilità nella regione. Le differenze devono essere messe da parte a favore di un approccio collettivo che dia priorità alla protezione della vita e della sovranità rispetto alle differenze ideologiche. Il mondo, e in particolare le nazioni dell'Asia occidentale, devono cercare di trovare una via di diplomazia e di dialogo per evitare un'altra guerra devastante, che disfarebbe ulteriormente il tessuto stesso della regione.
(L'autore è un giornalista e scrittore; le opinioni sono personali)
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